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ORISS – Antonio Bianchi

“O Uso Ritual da Ayahuasca” di Beatriz Caiuby Labate e Wladimir Sena Araújo (Eds) Ed. Mercado de Letras livros@mercado-de-letras.com.br Antonio Bianchi L’ayahuasca è uno degli ultimi grandi miti di quello che resta della cultura alternativa in Europa. La parola “ayahuasca” viene dal Quecha: significa “aya”, anima, e “huasca”, liana. Letteralmente la “liana delle anime” E’ impiegata da un ampio numero delle tribù indigene del Nord-Est Amazzonico (Perù, Ecuador, Colombia e Brasile). Molto meno da quelle di altre parti della grande foresta pluviale. Il suo uso tra queste tribù è in relazione con la visione spirituale che esse hanno del mondo. Che sia prerogativa di specialisti, i “curanderos”, una versione locale in di quelli che noi potremo chiamare “sciamani”, o sia diffusa tra tutta la tribù, come nei gruppi più tradizionali, l’uso dell’ayahuasca ha essenzialmente lo scopo di mettere chi la ingerisce in contatto con il mondo degli spiriti. Viene prodotta attraverso una decozione prolungata di una liana, la Banisteriopsis caapi, e della foglia di un arbusto, la Psychotria viridis. Quest’ultima contiene composti tipo-DMT, che sono delle sostanze allucinogene, inattive per via orale, a causa di un enzima che, nel tratto gastrointestinale, le distrugge. Nella liana si trova invece un’altra classe di sostanze, le B-carboline, non allucinogene di per sé, che però bloccano l’enzima che inattiva la DMT, permettendo a questa di essere assorbita e di esercitare tutto il loro potere allucinogene. Il risultato è una bevanda con un sicuro e marcato effetto allucinogeno, decisamente più sicura di molti altri psicodislettici (gli effetti collaterali più comuni sono solo il vomito e qualche volta la diarrea), che induce spesso visioni con contenuti relazionati agli aspetti spirituali del mondo naturale. Insomma presenta alcune caratteristiche che la rendono un ideale candidato per diventare un attraente mezzo per procurarsi rapide esperienze interiori ai giovani europei ansiosi di trovare dimensioni alternative a quelle delle semplici ragioni di vita materiale. E così infatti è stato: nelle città amazzoniche del Perù (le più accessibili turisticamente) si sono riversati centinaia di europei alla ricerca di sensazioni magiche ed esotiche , mentre in Brasile sono cresciute a dismisura comunità che su questa bevanda hanno preteso creare nuove religioni messianiche. Come sempre succede in questi casi per i più è stato semplicemente una esperienza fugace, per altri una breve infatuazione, per qualcuno invece l’ayahuasca ha finito con il diventare, nel bene nel male, un nuovo scopo di vita. Queste premesse servono a comprendere l’importanza del testo della Labate e di Araújo. Sull’ayahuasca sono infatti stati pubblicati innumerevoli testi antropologici e non. Alcuni di questi lavori sono anche stati eccellenti. Nessun testo aveva però cercato di offrire una panorama completo dei vari aspetti dell’uso dell’ayahuasca in Sud America con una attenzione particolare a quelle modalità che più di altre hanno attirato l’interesse degli europei. Altri ci avevano provato prima (Metzner R. 1999; Luna and White 2000) ma i risultati sono stati abbastanza deludenti. Questo è invece un testo compilato con meticolosità e fatto da persone che conoscono il proprio lavoro, da un punto di vista scientifico. Il risultato sono 25 capitoli: 7 sull’uso indigeno dell’ayahuasca, 13 sulle nuove religioni brasiliane e 5 sugli aspetti farmaco-tossicologici. I risultati migliori si hanno nella sezione dedicata alle religioni brasiliane, dove evidentemente gli Autori avevano più contatti. Si tratta probabilmente , per completezza ed estensione della più dettagliata analisi disponibile fino ad oggi (al di fuori di oscure tesi brasiliane e di qualche libro più degno della letteratura New Age che di bibliografie scientifiche -Polari 1999), sul fenomeno delle nuove religioni brasiliane basate sull’ayahuasca. In Brasile infatti, a fonte di un uso indigeno piuttosto limitato, negli ultimi dieci anni si sono sviluppate in maniera esponenziale delle sette religiose – due in particolare, il Santo Daime e l’União do Vegetal – che sull’uso dell’ayahuasca hanno costruito delle vere e proprie chiese prendendo a prestito simboli ed escatologia dalla dottrina cattolica e dall’esoterismo moderno. Una di queste chiese, il Santo Daime, ha avuto particolare diffusione in molti paesi europei (tra cui l’Italia) dove ha creato centri in cui vengono tenute periodicamente cerimonie a base della sacra bevanda. E’ singolare notare come l’occidente nel rapportarsi all’ayahuasca abbia finito (o forse abbia dovuto) creare delle nuove religioni, per gestire in qualche maniera un tipo di esperienza che appariva troppo aliena. Religioni che sicuramente ( e questo forse nel testo brasiliano non appare nella dovuta maniera) sono molto diverse da quello che è l’uso originario dei popoli indigeni, a dimostrazione di quanto sia difficile il trasferimento di pratiche e saperi in culture così diverse. Il testo della Labate e del Araújo dedica un capitolo alla setta di Alto Santo (da cui ha avuto origine poi il Santo Daime), un capitolo alla Barquinha (oscura religione delle remote regioni dell’Acre brasiliano), tre capitoli all’União de Vegetal (diffuso soprattutto in Brasile e negli States) e 7 capitoli al Santo Daime. Di quest ultima setta vengono illustrati il calendario rituale, i riti, le metodiche terapuetiche, l’uso dell’ayahuasca e la sua attività in Europa (in particolare in Germania). Va citato anche un lavoro (inspiegabilmente nella sezione ”indigena”) sull’uso di questa bevanda, nel Brasile contemporaneo da parte di caboclos (popolazioni meticce brasiliane che vivono in Amazzonia). Tale lavoro è originale in quanto segnala un fenomeno probabilmente molto vasto e a tutt’oggi molto sottovalutato, che risulta del tutto estraneo alle religioni summenzionate. In Brasile infatti l’ayahuasca viene sempre associata alle religioni del Daime e dell’União de Vegetal, con il risultato che si è creata in Europa un’immagine secondo la quale tali religioni sono di fatto l’espressione dell’uso dell’ayahuasca da parte delle popolazioni rurali delle regioni orientali dell’Amazzonia Brasiliana. Probabilmente uno studio più dettagliato dell’impiego dell’ayahuasca al di fuori di tali religioni potrebbe riservare sorprese su un fenomeno – quello delle due sette brasiliane- che mantiene un rapporto ambiguo con l’ambiente culturale dal quale si è sviluppato. Il materiale raccolto nel testo è nel complesso vasto e ben articolato e sicuramente gli studiosi di dinamiche religiose troveranno ottimi argomenti da sviluppare. Per quanto riguarda la parte sull’uso indigeno questa è forse più debole. Abbiamo un lavoro di Jaques Mabit, un medico francese che ha aperto un centro a Tarapoto, in Perù, originariamente dedicato al recupero attraverso l’impiego di ayahuasca dei tossicodipendenti da “pasta-basica”, una droga ottenuta dalle foglie di coca, e successivamente trasformatosi in un qualcosa di abbastanza vicino a un centro di turismo spirituale per europei. Un medico colombiano, German Zuluaga, che viceversa ha cercato di creare una associazione di curanderos indigeni in Colombia, al fine di stabilire una sorta di etica panindigenista sull’uso dell’ayahuasca e sui rapporti tra “curanderos” ed i partecipanti, bianchi o comunque della città, alle sessioni. E infine un antropologo, Luis Eduardo Luna, noto per aver scritto in passato una delle più lucide analisi del “curanderismo meticcio” delle città amazzoniche (Luna 1986) e che recentemente ha dato vita a una organizzazione per condurre europei nella selva brasiliana, dove svolgere rituali in condizioni protette. Costoro a loro modo e probabilmente con onestà descrivono quanto deriva dalla loro esperienza. Nel complesso comunque si tratta di testi e analisi molto superficiali e poco significativi a dimostrazione probabilmente di quanto sia difficile l’interazione tra occidente e culture della selva Amazzonica. Il mondo dello sciamanesimo indigeno è un mondo lontano, senza dubbio vitale, facilmente fraintendibile, in perenne e rapida trasformazione, che necessita di tempo e pazienza per poter essere decifrato e che sicuramente rimarrà del tutto estraneo a quegli europei che a questo mondo non possono dedicare poco più che una vacanza. Forse sarebbe bastato utilizzare un altro titolo per questa sezione invece di “ayahuasca tra i popoli della foresta”. In realtà due sono i soli capitoli che parlano di popoli della foresta , uno della Jean Langdon e una splendida perla di Barbara Keifenheim. Questa antropologa tedesca, con oltre 10 anni di esperienza tra i Cashinahua della regione del Purus peruviano, ha probabilmente scritto una delle migliori descrizioni degli effetti percettivi dell’ayahuasca pubblicate recentemente. Il Purus è sempre stata un regione poco battuta in quanto pur essendo Perù (quindi di lingua spagnola) ha un accesso più facile (se così possiamo definire giorni e giorni di barca lungo il fiume) dal Brasile che dal Perù stesso. La Keifenhem descrive con accuratezza l’importanza dell’esperienza sonora dell’ayahuasca e di come questa attraverso veri e propri “cammini sonori” sia in grado di strutturare l’esperienza visionaria attraverso fenomeni sinestetici, per i quali un suono viene immediatamente trasformato in un’immagine. L’autrice tedesca sottolinea come spesso questi canti siano in realtà privi di significato e consistano per lo più di suoni evocativi. Tale osservazioni, che differenziano il mondo indigeno da quello meticcio, dove viceversa i canti hanno sempre un significato, si collega a quanto segnalato precedentemente da un’altra antropologa che ha lavorato soprattutto in area Shipibo (Gebhardt-Sayer 1987) e recentemente da Muller-Ebeling et al. (2002) in una recente pubblicazioni divulgativa sulle piante impiegate dagli sciamani nelle aree himalayane e getta le basi per importanti ipotesi scientifiche. E’ una vecchia tesi infatti che le visioni indotte dall’ayahuasca avrebbero un contenuto per così dire archetipale e trasnculturale (Harner 1973), fatto riportato anche da seri antropologi che hanno assunto al sostanza in remore comunità indigene. La possibile analisi etnomusicali di tali suoni (che è mancata sul campo all’antropologa tedesca) potrebbe quindi evidenziare la capacità di determinati suoni di evocare, all’interno di un determinato contesto culturale o indipendentemente da questo, determinati contenuti visionari una volta che si è instaurato una alterazione del normale livello di coscienza uale quello indotto dall’ingestione della bevanda. Le recenti ricerche sull’ayahuasca sono finalmente approdate alle moderne metodologie di indagine neuropsicofisiologica attraverso il quale è possibile analizzare l’effetto sul cervello di qualsiasi stimolo in qualsiasi stato di coscienza (Riba et al. 2002). L’intuizione dell’antropologa tedesca potrebbe quindi dischiudere, se suffragata da ulteriori dati, interessanti prospettive di indagine interdisciplinare per poter finalmente cominciare ad analizzare in maniera oggettiva (e qual miglior opportunità di un allucinogeno assumibile in setting culturalmente differenti?) le modalità di evocazione dei contenuti dell’esperienza visionaria. Anche per questa ragione suggerisco la lettura del testo della Labate e di Araújo non solamente a quanti interessati nelle droghe provenienti da remoti angoli del mondo. E’ un testo il cui contenuto travalica l’interesse per la semplice bevanda nota come ayahuasca e offre spunti per molteplici sviluppi. Un solo grande e immenso limite. La lingua portoghese: sarebbe bene che qualcuno considerasse una versione in una qualche lingua più accessibile, come l’inglese o lo spagnolo. Antonio Bianchi Bibliografia – Gebhardt-Sayer A. Die Spitze des Bewusstseins. Untersuchungen zu Weltbild and Kunst der Shipibo-Conibo. Klaus Renner, Munchen. – Harner MJ (1973). Common Themes in South American Indian Yagè Experiences. In Harner MJ. Hallucinogens and Shamanism,. Oxford Univ. Press, London. – Luna LE (1986). Vegetalismo. Shamanism among the Mestizo Population of the Peruvian Amazon. Almqvist & Wiksell, Stockholm. – Luna LE and White SF (2000). Ayahuasca Reader. Encouter wuth the Sacred Amazon’s Sacred Vine. Synergetic Press, Santa Fe – Metzner R (1999). Ayahuasca. Hallucinogens, Consciousness and the Spirit of Nature. New York, Thunder Mouth Press. – Muller-Ebeling C, Ratsch C and Shahi SB (2002) . Shamanism and Tantra in the Himalayas. Thames and Hudson, London. – Polari de Alverga A (1999). Forest of Visions. Ayahuasca, Amazonian Spirituality and the Santo Daime tradition. Rochester, Inner Traditions. – Riba J, Rodriguez-Fornells and Barbanoj MJ (2002). Effects of ayahuasca on sensory and sensorimotor gating in humans as measured by P50 suppression and prepulse inhibition of the startle reflex, respectively. Psychopharmacology, 165: 18-28 Originalmente publicado em: http://www.oriss.org/articoli/a_ayahuasca.html – ORISS (Organizzazione Interdiciplinare Sviluppo e Sallute)